Estratto dall’Omelia di Padre Antonio Gentile
Genitorialità e chiamata
Dopo il Natale appena celebrato, le letture di oggi aprono una profonda riflessione in merito alla genitorialità e sulla chiamata di ogni famiglia in un contesto, quello contemporaneo, dove la famiglia sembra aver “perso la bussola” e l’ascolto reciproco viene sostituito da brevi “comunicazioni di servizio”; un tempo dove la maternità sembra un diritto imprescindibile da raggiungere ad ogni costo e senza la quale l’unione sponsale non è “piena”.
Già dalla lettura del Primo libro di Samuele la scrittura ci parla della maternità che non può prescindere dalla grazia di Dio; essa è difatti un dono e non un diritto e per questo da vivere con la giusta responsabilità consapevole di chi diviene custode della vita e non proprietario. Come dono quindi i figli ricevuti in seno alla famiglia devono in essa respirare, fin dal primo battito del cuore, il volto di Dio che è “Padre e Madre” e che intesse nel segreto del grembo quell’unicità come scritto in Geremia:
“prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato”.
Ge 1; 5
Le donne del popolo d’Israele vivevano la sterilità con grande angoscia, non soltanto perché questa le privava della maternità, ma perché precludeva loro la possibilità di essere la madre del Messia tanto atteso; questa stessa angoscia nel cuore per Anna divenne “preghiera e dono” al Signore che le concesse Samuele:
“Per la tua vita, mio Signore, io sono quella donna che era stata presso di te a pregare e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda; per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore”
1 Sam 1; 26-27
In questo gesto si evidenzia che la genitorialità di Anna rende giustizia alla Paternità assoluta di Dio, datore e fonte della vita, a cui tutto appartiene e trova compimento; questo ci proietta di contro nella problematica, ancor oggi viva, della difficoltà dei genitori a riconoscere “l’indipendenza” delle scelte dei propri figli, soprattutto quando queste sembrano non seguire lo schema del vivere del mondo come la scelta di una vita consacrata; in questi casi, anche in famiglie cristiane, spesso la vocazione viene vissuta come un “dramma” e non come grazia.
Santa Famiglia come esempio di vita
Ecco perché volgere lo sguardo proprio alla Santa Famiglia come esempio di vita vissuta alla luce della Parola di Dio; una vita che non è libera dalle difficoltà, ma nella quale queste vengono superate non soltanto con la propria volontà e capacità, ma anche alla luce della Parola stessa “custodita e meditata” nel cuore. Parola di Dio che guida, che sorregge, che consola e fa scorgere la luce da seguire anche nel buio della vita.
Non a caso Luca, dopo aver aperto il suo vangelo con l’annunciazione e la nascita di nostro Signore, riporta un episodio nel quale troviamo Gesù all’età di dodici anni. Se ci soffermassimo al solo dato scritto il testo non direbbe più di ciò che viene riportato, ma, con una lettura più attenta, in esso si scopre molto di più partendo proprio dall’età di Gesù; era prossima difatti l’età in cui Gesù avrebbe raggiunto la piena responsabilità di sé nei confronti della legge che si racchiude nella parola ebraica Bar mitzwah (in ebrico: בר מצווה, ḇr mṣwwh, lett. «figlio del precetto»). I figli e le figlie di Israele vivevano la loro infanzia prima sotto l’insegnamento della madre e successivamente del padre che erano responsabili della sua crescita spirituale e dottrinale derivante dalla “legge dell’alleanza”; al raggiungimento dell’età stabilita i giovani divenivano essi stessi figli (Bar) del precetto/legge (mitzwah) pertanto responsabili delle loro scelte e della loro vita nei confronti di Dio.
Altro dato significativo, oltre il viaggio in Gerusalemme che indica l’osservanza della legge da parte della Santa Famiglia, è il ritrovamento di Gesù nel tempio avvenuto dopo tre giorni che sono chiaro parallelo alla Pasqua (di Resurrezione) nella quale, dopo tre giorni Gesù, risorgendo, fu nuovamente visibile agli uomini; importante sottolineare anche il luogo del ritrovamento, il tempio, dove si incontra il Verbo divino. In questo tratto del vangelo non possiamo non entrare in empatia con l’ansia che Giuseppe e Maria hanno provato nell’apprendere di aver perso Gesù, ma il dato più disarmante è nel dialogo tra Maria e Gesù al tempio che paradossalmente non risuona come un rimprovero ma come una ricerca di una verità ancora non del tutto compresa da Maria e Giuseppe, seguita da una mansuetudine divinità di Gesù nella sua obbedienza filiale.
Maria difatti chiede “Figlio, perché ci hai fatto questo?” con i medesimi sentimenti di stupore che ebbe nel rispondere all’angelo “Come può avvenire tutto questo?”; in lei e nelle sue parole non un rimprovero bensì una domanda che cerca un perché a quel gesto affinché possa lei meglio comprendere ciò che già custodisce nel suo cuore. Ancora più eloquente il silenzio di Giuseppe che non indica una placida indifferenza, ma una profonda attenzione nel cogliere la verità di quel figlio così speciale che gli è stato affidato e che deve accompagnare e proteggere affinché possa compiere se stesso.
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”; Gesù non ammonisce ma accompagna con le sue parole Maria e Giuseppe perché comprendano gradatamente dove conduca la sua missione. Difatti attende che ciò avvenga, che abbiano il giusto tempo per comprendere l’immensità del suo divenire restando loro “sottomesso” e crescendo in “sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” pur essendo per molti, fino al tempo della sua vita pubblica, un semplice falegname.
La Famiglia del “Si”
Ecco il grande insegnamento da trarre dalla Santa Famiglia, che come dice Papa Francesco “non è quella delle immaginette” ma una famiglia che ha vissuto le difficoltà con quel “Si” detto in pienezza.
Facciamo nostra quindi la preghiera del canto al vangelo:
“Apri, Signore, il nostro cuore e accoglieremo le parole del Figlio tuo.”
Parole chiave per una meditazione personale:
- Maternità – dono o diritto
- Genitorialità – indipendenza o dramma
- Bar mitzwah
- Obbedienza alla volontà del Signore
A cura di Giovanni Villa